Di Elena Barbaglio

Da pochi giorni si è chiusa la mostra milanese su due sedi dedicata a Gabriele Basilico, “Le mie città”, un’immersione totale in immagini lucide e rigorose, che contemporaneamente assorbono e tengono a distanza, informazioni trasformate in immagini.

Passeggiare all’interno di queste esposizioni mi ha fatto tornare alla mente una frase spesso sentita nei discorsi tra fotografi: “sembra una foto di Basilico”. Ma cosa significa esattamente? Cosa identifica con precisione il suo sguardo sulla realtà? Cosa lo rende così riconoscibile?

Chi è Gabriele Basilico

Gabriele Basilico è un fotografo milanese nato nel 1944 e morto nel 2013, conosciuto soprattutto per le sue immagini silenziose di paesaggi urbani, metropoli in realtà caotiche e rumorose che vengono bloccate invece in istanti sospesi, dove non ci sono, o ce ne sono poche, persone, automobili, animali, ma solo grandi vuoti delimitati da edifici congelati in una luce pulita e tagliente. Le atmosfere sono rarefatte, il bianco e nero perfetto valorizza le forme e astrae la porzione di spazio inquadrata. Ecco, credo sia in questo modo che tutti visualizziamo con immediatezza il suo lavoro.

Un passo indietro

Non che Basilico abbia sempre lavorato così, c’è stato un prima… a partire dalla laurea in architettura nel 1973 e dallo studio della fotografia per corrispondenza, alle fotografie dedicate al sociale scattate in età giovanile, reportage che lo immergono, e ci immergono, nella contemporaneità… una contemporaneità piena di gente, come nel lavoro sui movimenti giovanili di contestazione tra il 1974 e il 1976 o in quello del 1983 sui nascenti dancing della riviera romagnola.

La fotografia per lui è da subito un racconto, un progetto che va al di là della bella immagine singola.

Immagine di Gabriele Basilico, Dancing in Emilia, 1983

Gabriele Basilico, Dancing in Emilia, 1983

Ritratti di Fabbriche

Forse l’inizio del Basilico che conosciamo oggi è il reportage sulle fabbriche milanesi del 1978-80, “Ritratti di fabbriche”, quello delle periferie solitarie, rigorose e precisissime, immagini vicine a quelle dei coniugi Becher, anche se dallo sguardo più ampio, perfette e prive della presenza umana esplicita, in bianco e nero.

Lo spazio è quasi metafisico, protagonista è una Milano che non tutti conoscono, edifici rappresentati in modo “oggettivo”, simbolo di ciò che l’uomo ha prodotto e quindi dell’uomo stesso.

Il lavoro verrà presentato in una mostra al PAC di Milano nel 1983.

Immagine di Gabriele Basilico, Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980, via Giuseppe Ripamonti

Gabriele Basilico, Milano. Ritratti di fabbriche 1978-1980, via Giuseppe Ripamonti

Viaggio in Italia

Negli anni Ottanta collabora con Luigi Ghirri a Viaggio in Italia, una mostra e una pubblicazione dove 20 fotografi raccontano l’Italia così com’è, un paese nella sua semplicità, non quello dei grandi monumenti ma quello di tutti i giorni, in cui la bellezza viene ricercata anche nel banale. Si tratta di fotografie antieroiche e non retoriche, elemento che gli rimane dentro quando fotograferà lo spazio urbano in modo democratico, con i grandi monumenti che hanno lo stesso peso delle architetture ai margini. Tutto è poesia, tutto può suscitare interesse.

Datar

Datar (Délégation à l’Aménagement du Territoire et à l’Action Régional) è una realtà del governo francese che si occupa di politica del territorio, nel 1984 commissiona a 12 professionisti “una fotografia” del territorio francese, uno di essi, unico italiano, è Basilico… ed è il suo primo lavoro importante a carattere internazionale. Egli racconta la Francia litoranea del nord, ambiente diverso da quello delle grandi città, dove prevale il paesaggio, il senso di infinito. Per questo Basilico vuol far intuire ciò che avviene oltre l’inquadratura e far sì che lo sguardo vaghi per lasciarsi avvolgere totalmente. Si mostra e consolida così la sua sfaccettatura da paesaggista.

Immagine di Gabriele Basilico, Bord de mer - Normandia 1984-85

Gabriele Basilico, Bord de mer - Normandia 1984-85

Contact

Una delle mie serie preferite di un Basilico un po’ fuori dagli schemi, è sicuramente quella, libera ed ironica, che nel 1984 sfocia nel libro “Contact”, la rappresentazione puntuale e precisa di 12 sedie viste dall’alto abbinate all’impronta che lasciano sul “lato b” di una modella. Si procede come per un negativo a contatto. Protagonista non è lo spazio urbano ma il design, in entrambi i casi, per riduzione o ampliamento, diramazioni specifiche dell’architettura, di cui gli architetti si sono sempre occupati.

Immagine di Gabriele Basilico, Contact, 1984

Gabriele Basilico, Contact, 1984

Fotografare il mondo

Da questo momento racconterà molte città del mondo (San Francisco, Shangai, Lisbona, Berlino, ecc.), in bianco e nero o a colori, cercando di valorizzarne l’essenza e di metterle idealmente a confronto, sempre con quella precisione che non lo abbandonerà più. Le città, simili e diverse nello stesso tempo, sono anche e soprattutto luoghi del divenire, accolgono stratificazioni storiche che a volte rimangono celate mentre altre si mostrano in tutta la loro forza.

Caso emblematico è il progetto su Beirut, città che fotografa appena terminata la guerra civile (per poi tornarci altre tre volte) in modo da creare una memoria storica di un preciso momento in cui la distruzione fisica non ha però fermato la vita e quindi la possibilità di un futuro.

Immagine di Gabriele Basilico, Beirut 1991

Gabriele Basilico, Beirut 1991

Immagine di Gabriele Basilico, Beirut 2003

Gabriele Basilico, Beirut 2003

Immagine di Gabriele Basilico, Beirut 2011

Gabriele Basilico, Beirut 2011

Riflettendo a posteriori su tutti i miei viaggi, su questi passaggi urbani, questo andar per luoghi, mi sembra che una condizione costante sia stata l’attesa di ritrovare corrispondenze ed analogie. La disposizione affettiva che guidava, oggi lo so bene, i miei spostamenti e la mia curiosità, mi portava e mi porta a eliminare le barriere geografiche: questo non significa che tutte le città debbano forzatamente assomigliarsi, ma significa che in tutte le città ci sono presenze, più o meno visibili, che si manifestano per chi le vuole vedere, presenze famigliari che consentono di affrontare lo smarrimento di fronte al nuovo“.

Milano

Negli anni Milano è diventata per me come un porto di mare, un luogo privato dal quale partire per altri mari, per altre città, per poi ritornare e quindi ripartire”.

È Milano la città per cui nutre un amore profondo, la città in cui è nato e con la quale mantiene un legame che implica costanti ritorni. La città che per lui racchiude tutte le città del mondo, che in essa risuonano, come Venezia racchiude tutte le Città invisibili di Calvino. Una città che ama per la sua bellezza e la sua bruttezza, anche quest’ultima potenzialmente ricca e quindi meritevole di attenzione.

Milano è anche una città che cambia, soprattutto all’inizio del XXI secolo quando si proietta verso una decisa contemporaneità. Basilico documenta quindi quei cambiamenti, attraverso i cantieri e il riempimento di quei vuoti urbani che aveva precedentemente mostrato.

La trasformazione sembra riempire quell’attesa che aveva caratterizzato le sue immagini precedenti.

Serie importante nel manifestare il cambiamento è quella dedicata al quartiere Porta Nuova, che verrà esposta sul posto, all’aperto per poter essere vista da tutti i passanti.

Immagine di Gabriele Basilico, Porta Nuova Varesine, 2006

Gabriele Basilico, Porta Nuova Varesine, 2006

Immagine di Gabriele Basilico, Porta Nuova Garibaldi, 2012

Gabriele Basilico, Porta Nuova Garibaldi, 2012

La sezione di mostra ospitata in Triennale si concentrava proprio sulla sua città, i milanesi si soffermavano parecchio tempo a ricercare in quelle immagini ricche di dettagli la propria casa, i luoghi del lavoro o dello svago. La parola che mi ronzava continuamente nella testa era familiarità!

Fotografia di una delle sale della mostra appena conclusa alla Triennale di Milano

Fotografia di una delle sale della mostra appena conclusa alla Triennale di Milano

In conclusione

Basilico continua a farmi pensare a Canaletto, la profondità prospettica delle inquadrature, la precisione maniacale, il rigore, l’equilibrio, una natura documentarista che ci mostra la realtà in modo “oggettivo”, “tutta a fuoco”, e ci insegna a comprenderla attraverso l’osservazione attenta. Il pittore faceva uso della camera ottica, il fotografo della macchina fotografica, il primo dipingeva spazi abitati, il secondo fotografava luoghi deserti e silenziosi, il primo vedeva il mondo a colori, il secondo prevalentemente in bianco e nero…ma lo sguardo nitido, ancora oggi, è sempre protagonista.

Che fotografo sono? Sono un misuratore di spazi: arrivo in un luogo e mi sposto come un rabdomante alla ricerca del punto di vista. Cammino avanti e indietro, la cosa importante è cercare la misura giusta tra me, l’occhio e lo spazio. L’azione fondamentale è lo sguardo, la foto è la memoria tecnica fissata di questo sguardo. ma c’è bisogno di tempo, la foto d’eccellenza è contemplativa”.

Canaletto, Veduta del Canal Grande da Ca' Foscari verso il ponte di Rialto, 1728 circa, olio su tela, Bergamo (BG), Accademia Carrara

Canaletto, Veduta del Canal Grande da Ca' Foscari verso il ponte di Rialto, 1728 circa, olio su tela, Bergamo (BG), Accademia Carrara

Immagine di Gabriele Basilico, Trieste, 1996

Gabriele Basilico, Trieste, 1996

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