Di Elena Barbaglio

La luce! Una vera fissazione per gli architetti e la base del linguaggio fotografico. Forse è questo l’aspetto che in profondità accomuna queste due arti, insieme al senso della composizione, alla ricerca di forme, geometrie, ritmi, all’attenzione per le proporzioni, i colori, le sensazioni, alla creazione o valorizzazione di uno spazio.

E poi c’è la responsabilità… Progettare e realizzare un edificio comporta un grande senso di responsabilità, non è un dipinto o una scultura che possiamo osservare anche in solitudine, che possiamo ammirare anche se “al resto del mondo non piace”, ma è sotto gli occhi di tutti, anche quando non funziona o non è adeguato al contesto. Anche la fotografia può avere una grande responsabilità e una enorme forza, perché le immagini sono potenti e si diffondo oggi a grande velocità, sono sotto gli occhi di tutti, anche quando non vorremmo fosse così. Comunicare una cosa piuttosto che un’altra può fare una grande differenza.

Le tre vie per fotografare l’architettura

Ma come la fotografia racconta l’architettura con cui ha tanto in comune? Sicuramente dipende dall’obiettivo finale.

1 Da sempre le riviste di settore ci mostrano immagini che documentano il lavoro di un architetto: fotografie nitide, precise, tecnicamente perfette, volte a valorizzare i punti di forza di ciò che stanno raccontando. Quando questo succede l’immagine “appartiene” più all’architetto che al fotografo, che passa in secondo piano. L’architettura è “in piena luce”.

Immagine del Duomo di Siena, 1859. © Archivi Alinari, Firenze

Il Duomo di Siena, 1859. © Archivi Alinari, Firenze

2 All’opposto ci sono fotografie che esprimono tutta la forza di un preciso pensiero fotografico e il soggetto diventa un pretesto. L’immagine, per dirla con le parole del fotografo napoletano Mimmo Jodice «appartiene più intimamente all’autore, al fotografo che non all’architetto, pur rappresentando pezzi di architettura». Quest’ultima rimane “in ombra”.

Immagine di Maurizio Galimberti, Arc de Triomphe N.2, 2013.

Maurizio Galimberti, Arc de Triomphe N.2, 2013.

3 E poi ci sono quelli che stanno nel mezzo, nel bellissimo mondo della penombra, uno spazio ibrido in cui le cose sfumano, non sono o in un modo o nell’altro, ci sono entrambe le parti che il confine della penombra divide.

Da questo spazio posso nascere immagini meravigliose, che tengono conto della forma architettonica valorizzandola, portando alla luce particolari inaspettati e a volte dandole nuovi significati, immagini che raccontano luoghi ed edifici nella loro essenza, ma con uno stile ben caratterizzato.

Immagine di Bernd & Hilla Becher, case a graticcio, 1959-1971 © Estate Bernd & Hilla Becher

Bernd & Hilla Becher, case a graticcio, 1959-1971 © Estate Bernd & Hilla Becher

Immagine di Luigi Ghirri, Modena, Cimitero di San Cataldo (di Aldo Rossi), 1985 © Eredi di Luigi Ghirri

Luigi Ghirri, Modena, Cimitero di San Cataldo (di Aldo Rossi), 1985 © Eredi di Luigi Ghirri

Sono tutti i casi in cui la ricerca personale del fotografo aggiunge qualcosa a quella dell’architetto, tra i due si crea un rapporto speciale. Nel passato questo è successo più volte, ad esempio tra Mies van der Rohe e Eero Saarinen con Ezra Stoller o tra Luis Barragán e Armando Sala Portugal, ma è il sodalizio tra Le Corbusier (1887-1965), forse il più grande architetto del Novecento, e Lucien Hervé che vorrei ricordare: un rapporto che ha prodotto immagini di grande intensità e bellezza. L’architetto svizzero Le Corbusier diceva “L’architettura è il gioco sapiente, corretto e magnifico dei volumi sotto la luce.” (ancora una volta la luce!) e il fotografo francese Lucien Hervé è riuscito a valorizzare con forza, e con un proprio personale linguaggio, ciò che questa frase racchiude.

Lucien Hervé (1910-2007)

Dopo aver lavorato con fotografi come Charles Gérard o lo studio Chevojon2, Le Corbusier, che era esigentissimo e spesso fotografava, almeno all’inizio della sua carriera, da solo i suoi edifici, nel 1948 incontra Lucien Hervè, che diventerà il suo fotografo ufficiale, perché, come diceva il grande progettista svizzero aveva “l’anima di un architetto”. Hervè lavora attraverso dettagli e forti contrasti chiaroscurali, sull’astrazione delle parti e la valorizzazione dei volumi, sulla “messa in luce” di quel rigore e di quella razionalità di cui è impregnata l’opera di Le Corbusier, ma da un altro punto di vista ci spinge ad osservare elementi e specifici rapporti tra di essi, che forse senza quelle fotografie non avremmo notato.

Mária Švarbová (1988)

Molti altri fotografi (René Burri, Martine Franck, Guido Guidi,Takashi Homma, per citarne alcuni) hanno raccontato le opere di Le Corbusier, ma vorrei parlare del racconto recente che una giovane fotografa slovacca, a distanza di molto tempo e “senza il permesso” dell’architetto, ci propone per una delle sue opere: l’ Unità d’abitazione di Marsiglia. È Mária Švarbová (1988), più conosciuta per le fotografie di donne in piscina, giochi geometrici di forme e colori, in luoghi essenziali, sospesi nel tempo, che dedica un lavoro sul rapporto armonioso tra umanità ed architettura, ponendoci di fronte alla storia di due persone che questo edificio lo abitano e sottolinenando un altro importante aspetto dell’opera di Le Corbusier: la casa come “macchina per abitare”, ovvero un sistema efficiente che garantisce il benessere dell’individuo. Questo sistema perfetto, ma chiuso, garantisce anche un benessere di emozioni? Le emozioni non traspaiono dai volti dei protagonisti di questa storia, di cui si esplorano le relazioni che si costruiscono, disfano e ricostruiscono, che sa anche un po’ di nostalgia, di atemporalità, di sogno, che rimanda ai miti greci, e quindi all’origine greca della città in cui l’edificio è collocato. I legami tra gli esseri umani diventano anche rapporti con l’architettura che li contiene, forte per il materiale con cui è costruita, il cemento, e nell’essere simbolo di un periodo storico importante, e fragile nel voler concretizzare un’utopia, nell’essere chiusa, nella necessità di cure continue.

In conclusione

Mondo affascinante quello della fotografia d’architettura, insieme memoria (documentazione minuziosa di qualcosa che esiste o è esistito) e studio a posteriori di uno spazio, possibilità di riflessione. Un mondo in bilico tra documentazione ed espressione artistica, che a volte esalta il singolo edificio mentre altre ne esprime il rapporto con il contesto, che a volte racconta una costruzione nella sua quiete mentre altre la lega intimamente all’uomo che lo abita e ne costituisce la misura.

Alinari

Galimberti

I Becher

Ghirri

Le Corbusier

Hervé

Švarbová

 

 

 

 

 

 

 

Articoli correlati